La Corte dei conti ha competenza sui giudizi relativi a pensioni a totale carico dello Stato o a carico degli enti previdenziali confluiti nell’INPDAP. Le controversie possono avere ad oggetto sia l’esistenza del diritto alla pensione sia la sua entità.
La Corte dei conti giudica anche in ordine alla legittimità del recupero disposto dall’ente in ordine alle somme erogate a titolo di trattamento pensionistico ed accessori (indennità integrativa speciale, tredicesima mensilità, interessi legali e rivalutazione).
La Corte giudica sia in materia di pensioni ordinarie (civili e militari) che di pensioni di guerra.
Sul punto, la Cassazione civile sez. un., 18/10/2018 ha statuito “che la giurisdizione della Corte dei conti in materia di pensioni, R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, ex artt. 13 e 62, ha carattere esclusivo, in quanto affidata al criterio di collegamento costituito dalla materia, onde in essa sono comprese tutte le controversie in cui il rapporto pensionistico costituisca elemento identificativo del petitum sostanziale… come quando sia in questione la legittimità dell’atto di recupero di ratei già erogati…” e che “detto orientamento è stato articolato, come tra le ultime nelle pronunce Sez. U. 9 giugno 2016 n.11849 e 27 marzo 2017 n. 7755, sul rilievo che nell’ambito individuato dal R.D. n. 1214 del 1934, art. 13 “la giurisdizione è esclusiva e ricomprende tutte le controversie funzionali alla pensione: oltre a problemi relativi al sorgere e modificarsi del diritto alla pensione, la Corte si occupa anche dei problemi connessi, quali riscatto di periodi di servizio, ricongiunzione di periodi assicurativi, assegni accessori, interessi e rivalutazione, recupero di somme indebitamente erogate…”.
Soprattutto dopo l’entrata in vigore del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 (cosiddetto salva Italia), convertito con la legge 24 dicembre 2011, n. 214, che ha disposto la soppressione dell’INPDAP trasferendo all’INPS le relative funzioni, si è posto il problema relativo all’applicazione di talune norme di carattere processuale anche ai giudizi inerenti alle pensioni pubbliche, attratte nella giurisdizione della Corte dei conti.
In particolare, perplessità ha creato l’applicazione anche al processo pensionistico della Corte dei conti delle norme relative alla decadenza in materia previdenziale, dettate dall’art. 47 del D.P.R. n. 639/1970.
I primi tre commi dell’art. 47 del D.P.R. n. 639/1970 così recitano: “Esauriti i ricorsi in via amministrativa, può essere proposta l’azione dinanzi l’autorità giudiziaria ai sensi degli articoli 459 e seguenti del codice di procedura civile. Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici l’azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi dell’Istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della predetta decisione, ovvero dalla data di scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione. Per le controversie in materia di prestazioni della gestione di cui all’articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, l’azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di un anno dalle date di cui al precedente comma”.
In sostanza, quindi, una volta proposta la domanda amministrativa tesa a ottenere una prestazione previdenziale o assistenziale, in caso di diniego (tacito o espresso) da parte dell’INPS è necessario coltivare l’azione giudiziaria entro i termini suesposti, onde evitare di incorrere nella pronuncia di decadenza da parte del giudice adito.
Nel caso in cui si azionino dinanzi alla Corte dei conti diritti relativi a pensioni pubbliche, è necessario rispettare le norme in materia di decadenza sostanziale stabilite dall’art. 47 D.P.R. n. 639/1970?
Sul punto, la giurisprudenza è pressoché concorde nel ritenere inapplicabile al giudizio pensionistico della Corte dei conti la disciplina in materia di decadenza previdenziale.
Da ultimo, la Corte dei conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Basilicata, con la sentenza n.58/C/2021 del 12/10/2021, ha statuito quanto segue:
“Men che mai può eccepirsi la decadenza di cui all’art. 47 del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639. La norma opera solo per le controversie davanti al giudice ordinario (Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, n. 427 del 2020). In via preliminare, e con riferimento alla sollevata eccezione di intervenuta decadenza ex art. 47 DPR 639/1970, questo Giudice, in adesione ad orientamenti giurisprudenziali ormai consolidati sul punto (si veda C.d.c. Piemonte nn.77/2018 e 102/2018; C.d.c. Basilicata n.15/2018), osserva come siffatta disciplina non risulti applicabile al sistema di previdenza pubblica, in ragione del carattere eccezionale della norma “de qua”, che, pertanto, non è suscettibile di applicazione estensiva. Peraltro deve anche aggiungersi che la normativa sostanziale disciplinante la previdenza pubblica (D.P.R. 1092/1973) non prevede norme che sottopongono a termini di decadenza l’esercizio dell’azione giudiziaria, con esclusione di qualsiasi applicazione analogica dell’art.47 D.P.R. n.639 del 1970. Ancora, ed infine, e con maggior specifico riferimento all’oggetto dedotto di causa, la Cassazione, con sentenza n.21319 del 20/10/2016, ha affermato – in generale – l’inapplicabilità di siffatta decadenza quando la domanda giudiziale sia diretta ad ottenere l’adeguamento di una prestazione pensionistica già riconosciuta (caso analogo a quello dedotto dall’odierno ricorrente) (Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Basilicata, n. 19 del 2020); Preliminarmente occorre valutare le eccezioni preliminari sollevate dalla parte convenuta in relazione all’improcedibilità per decadenza ex art. 47, comma 3, d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, come sostituito dall’art. 4 del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, conv. dalla 1. 14 novembre 1992, n. 438. Al riguardo può osservarsi che la giurisprudenza di questa Corte si è più volte pronunciata nel senso di ritenere che tale norma si riferisca all’ordinamento previdenziale relativo all’Assicurazione Generale Obbligatoria e trovi applicazione soltanto nelle controversie dinanzi al Giudice ordinario, non nel giudizio pensionistico dinanzi alla Corte dei Conti, in relazione alle specifiche disposizioni che lo regolano, quali il R.D. n. 1038/1933 e le leggi n. 19/1994, n. 639/1996, n. 205/2000 (Sez. Umbria 211/2007, Friuli-Venezia Giulia 44/2009, Liguria 242/2010 e 51/2016, Basilicata 61/2017). Tale eccezione va quindi respinta (Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Marche, n. 92 del 2017″.
Rimarchevole, in subiecta materia, è anche uno stralcio della motivazione della sentenza n. 57/2017 della Corte dei conti – Sezione Giurisdizionale per la Regione Trentino Alto Adige – Sede di Trento, per la puntuale ricostruzione sistematica e storica dell’istituto della decadenza ex art. 47 DPR 639/1970 in essa tracciata.
“In via preliminare – afferma la Corte – deve essere respinta l’eccezione di decadenza della domanda giudiziale sollevata dall’I.N.P.S., per decorso del termine triennale previsto dall’art. 47 del D.P.R. n. 639/1970 e/o in applicazione dell’art. 205 del D.P.R. n. 1092/1973. Al riguardo si osserva che per condivisibile orientamento giurisprudenziale, anche di questa stessa Sezione Giurisdizionale (sentenza n. 44/2017) deve ritenersi inapplicabile, al processo innanzi alla Corte dei conti, l’art. 47 del D.P.R. n. 639/1970, sostituito dall’art. 4, D.L. n. 384 del 19.09.1992, conv. in L. n. 438 del 14.11.1992 (ex multis, Corte conti, Sezione Giurisdizionale Sardegna, n. 102/2017; Sezione Giurisdizionale Puglia, n. 420/2017; Sezione Giurisdizionale Piemonte, n. 1/2017; Sezione Giurisdizionale Liguria n. 65/2014). Infatti, il D.P.R. n. 639 cit. reca la revisione degli ordinamenti pensionistici nell’ambito delle assicurazioni obbligatorie per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti amministrate dall’INPS e norme in materia di sicurezza sociale. Disciplina il riordinamento degli organi di amministrazione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale, con particolare riferimento ai Comitati speciali del neo istituito Fondo pensioni dei lavoratori dipendenti, delle Gestioni speciali, e dei Fondi e Casse sostitutivi-integrativi dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti amministrati dall’istituto. Nel Titolo IIII pone la disciplina in materia di ricorsi e controversie in materia di prestazioni. All’interno del Titolo III, il citato art. 47, poi modificato dall’art. 4 del D.L. n. 384 del 19.09.1992, dispone che “Esauriti i ricorsi in via amministrativa, può essere proposta l’azione dinanzi l’autorità giudiziaria ai sensi degli articoli 459 e seguenti del codice di procedura civile. Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici l’azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi dell’Istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della predetta decisione, ovvero dalla data di scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione”. La disposizione concerne, pertanto, l’ordinamento previdenziale AGO-VIS, per essere contenuta in un atto normativo relativo, esclusivamente, a quell’ordinamento e non può trovare applicazione nell’odierna causa. Non appaiono inoltre apprezzabili le censure di incostituzionalità prospettate dalla difesa dell’I.N.P.S., sotto il profilo della disparità di trattamento tra i pensionati “privati” e quelli “pubblici”, proprio alla luce della giurisprudenza della Corte Costituzionale. Infatti, il Giudice delle leggi, pronunciandosi con sentenza n. 126 del 26 marzo 1991 sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 del D.P.R. n. 1092/73, con riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, “per la parte in cui ha stabilito la imprescrittibilità del diritto al trattamento di quiescenza dei lavoratori pubblici dipendenti e conseguentemente ha consentito la impugnabilità in sede giurisdizionale dei relativi provvedimenti amministrativi senza limiti di tempo, in difformità a quanto stabilito nella stessa materia dagli artt. 58 della legge 30 aprile 1969, n. 153, e 47 del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, per tutti gli altri lavoratori”, ha indicato che “la comparazione non può essere istituita tra norme che non hanno lo stesso oggetto: quella impugnata prevede la non prescrittibilità del diritto sostanziale mentre le altre due, impropriamente confrontate, stabiliscono il termine di decadenza per l’impugnativa in giudizio dei provvedimenti dell’I.N.P.S.”. Non è fondato, poi, il richiamo dell’Ente Previdenziale al disposto dell’art. 205 del D.P.R. n. 1092/1973 (cfr. sentenza n. 44/2017 di questa Sezione). In definitiva, il diritto a pensione in quanto tale è imprescrittibile, ai sensi dell’art. 5 del d.P.R. n. 1092 del 29.12.1973, né sussistono termini di decadenza applicabili all’azione per far valere tale diritto, mentre i crediti concernenti i singoli ratei di pensione ed i loro accessori sono, invece, soggetti a prescrizione estintiva quinquennale. Ciò premesso, l’eccezione di decadenza prospettata dall’I.N.P.S. non merita accoglimento”.
