Il sindacato sui motivi di contestazione della CTU nel giudizio di merito conseguente alla dichiarazione di dissenso nel procedimento di ATP ex art. 445 bis c.p.c.

Il comma 4 dell’art. 445 bis c.p.c. recita: “Il giudice, terminate le operazioni di consulenza, con decreto comunicato alle parti, fissa un termine perentorio non superiore a trenta giorni, entro il quale le medesime devono dichiarare, con atto scritto depositato in cancelleria, se intendono contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio”, mentre, a mente dell’art. 445 bis, comma 6 c.p.c. “nei casi di mancato accordo la parte che abbia dichiarato di contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio deve depositare, presso il giudice di cui al comma primo, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla formulazione della dichiarazione di dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando, a pena di inammissibilità, i motivi della contestazione”. L’ultimo comma dell’art. 445 bis c.p.c. dispone infine quanto segue: “la sentenza che definisce il giudizio previsto dal comma precedente è inappellabile”.

La procedura di accertamento della sussistenza del requisito sanitario relativo alla domanda di una prestazione previdenziale o assistenziale, si conclude pertanto con un decreto di omologa, in assenza di contestazioni delle parti, oppure con una sentenza inappellabile emessa all’esito del giudizio di merito introdotto dalla parte che abbia inteso dissentire dalle conclusioni del CTU nominato nella prima fase di accertamento tecnico preventivo. Tale giudizio di merito, che – ripetesi – segue al dissenso opposto avverso la consulenza tecnica depositata, ha solitamente come oggetto le censure di carattere tecnico-medico inerenti alla disamina svolta dal consulente sul quesito di sussistenza del requisito sanitario, pur se, secondo un orientamento interpretativo ormai ben consolidatosi, “la dichiarazione di dissenso che la parte deve formulare al fine di evitare l’emissione del decreto di omologa – ai sensi dei commi 4 e 5 [dell’art. 445 bis c.p.c.] – può avere ad oggetto sia le conclusioni cui è pervenuto il c.t.u., sia gli aspetti preliminari che sono stati oggetto della verifica giudiziale e ritenuti non preclusivi dell’ulteriore corso, relativi ai presupposti processuali ed alle condizioni dell’azione (v. ex multis Cass. 2 agosto 2019, n. 20847; Cass. 9 aprile 2019, n. 9876; Cass. 5 febbraio 2020, n. 2587; Cass. 3 marzo 2021, n. 5719) (Corte di Cassazione – Sezioni Unite Civili – sentenza del 13 maggio 2021 – n. 12903). 

Nel giudizio di merito avviato a seguito della dichiarazione di contestazione espressa dalla parte in dissenso, il giudice investito della controversia è tenuto a vagliare l’aspetto relativo ai motivi di impugnazione posti a fondamento del ricorso introduttivo.

A tal proposito, va precisato preliminarmente che la fase di opposizione alle conclusioni della CTU si compone di due atti sequenziali: la dichiarazione di dissenso, da presentare entro il termine di 30 giorni concesso dal giudice a seguito del deposito della consulenza, ai sensi dell’art. 445 bis, comma 4 c.p.c., e il ricorso introduttivo del giudizio di merito, che va depositato entro i 30 giorni successivi alla proposizione della dichiarazione di dissenso, per come disposto dall’art. 445 bis, comma 6 c.p.c.

In quale dei due atti la parte interessata a impugnare le conclusioni del CTU deve proporre i motivi specifici della contestazione?

La risposta al quesito ci è fornita dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, che, nella sentenza 15 giugno 2015, n. 12332, afferma il seguente principio: “Deve convenirsi che la legge prevede a pena d’inammissibilità la specificazione delle ragioni del dissenso non all’atto della sua presentazione, ma in quello, successivo, della proposizione del ricorso introduttivo del giudizio, il che l’INPS ha ritualmente fatto nel caso in esame. Oltre al tenore letterale della norma milita in tal senso anche la scansione logico-temporale dei momenti dell’iter procedurale successivo al deposito della relazione del CTU: dopo la dichiarazione di dissenso non è prevista interlocuzione alcuna né del giudice né dell’altra parte (cui quest’ultima provvederà nel termine previsto dal co. 1° dell’art. 416 c.p.c.), di guisa che sarebbe processualmente inutile anticipare la specificazione delle ragioni del dissenso già alla presentazione della relativa dichiarazione, ancor più se si considera che ad essa potrebbe anche non seguire l’introduzione del giudizio cognitivo (eventualmente perché, re melius perpensa, la parte potrebbe rinunciarvi)”.

La successiva ordinanza 9 marzo 2018, n. 5796 della Cassazione ha ulteriormente precisato che, al pari della mancata illustrazione dei motivi nella dichiarazione di dissenso, non ostativa alla proposizione del ricorso di merito, è pure irrilevante, al tal fine, la circostanza che le parte ricorrente nel merito abbia o meno precedentemente formulato osservazioni critiche nel termine fissato dal giudice ai sensi dell’art. 195 c.p.c., norma che prevede la possibilità per le parti di inviare al consulente, dopo aver da questi ricevuto la relazione (la c.d. bozza di CTU), osservazioni sulla relazione stessa.

E dunque, il giudice del Tribunale chiamato a decidere sul ricorso di merito proposto dalla parte che abbia precedentemente dichiarato di contestare le conclusioni della CTU, deve valutare i motivi di contestazione che supportano l’atto introduttivo del giudizio. E gli esiti di tale giudizio possono essere di tre tipi:

  • 1) Il giudice ravvisa l’assenza di una specifica contestazione o di una specifica illustrazione dei motivi per i quali viene ritenuta erronea la valutazione del CTU e, a norma del citato comma 6 dell’art. 445 bis c.p.c., dichiara il ricorso inammissibile con una pronuncia di rito.
    • Sul punto, è necessario precisare che la norma di cui all’art. 445 bis c.p.c., la quale impone alla parte ricorrente un obbligo, a pena di inammissibilità, di indicazione specifica dei motivi della contestazione, è analoga alle disposizioni contenute nell’art. 342 c.p.c. (in materia di appello proposto in sede di rito del lavoro e previdenziale) e all’art. 434 c.p.c. (concernente l’appello in sede civile), congiuntamente introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla I. n. 134 del 2012. Tali norme, ormai ben note, prevedono che l’impugnazione in appello debba contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze.

  • 2) Il giudice ritiene che i motivi di contestazione della CTU siano specificamente illustrati, per come impone la legge, Purtuttavia, entrando nel merito della controversia, reputa che tali contestazioni non consentano di disattendere le valutazioni espresse dal consulente e non siano pertanto tali da rendere necessaria una nuova e ulteriore valutazione medico legale, ed emette di conseguenza una sentenza di rigetto della domanda, basandosi sui principi espressi dalla giurisprudenza della Suprema Corte in materia di CTU inerenti a condizioni di invalidità, che si vanno di seguito a illustrare.
    • La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 18 novembre 2021, n. 35387, ha ribadito che “costituisce orientamento costante della Cassazione quello secondo il quale nel giudizio in materia d’invalidità, il vizio – denunciabile in sede di legittimità – della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice, e ciò anche con riguardo alla data di decorrenza della richiesta prestazione (Cfr. per tutte Cass. nn. 23990/2014, 1652/2012)”. Afferma ancora la Cassazione nell’ordinanza suddetta: “nel quadro del suddetto enunciato si è, altresì, precisato che le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio disposta dal giudice non possono utilmente essere contestate in sede di ricorso per cassazione mediante la pura e semplice contrapposizione ad esse di diverse valutazioni perché tali contestazioni si rivelano dirette non già ad un riscontro della correttezza del giudizio formulato dal giudice di appello bensì ad una diversa valutazione delle risultanze processuali; e tale profilo non rappresenta un elemento riconducibile al procedimento logico seguito dal giudice bensì costituisce semplicemente una richiesta di riesame del merito della controversia, inammissibile in sede di legittimità (Cfr. ex plurimis, Cass. n. 7341 del 2004; Cass. n. 15796 del 2004; Cass. n. 14374 del 2008; Cass. n. 13914 del 2020; Cass. n. 1405 del 2021)”.
    • Ancora, la Corte di Cassazione con l’ordinanza 28 luglio 2017, n. 18901, sempre in una controversia inerente a invalidità a fini di prestazioni previdenziali, ritiene necessario, per superare il vaglio di ammissibilità, che nel ricorso si deducano “vizi logico – formali che si concretino in devianza dalle nozioni della scienza medica o si sostanzino in affermazioni illogiche o scientificamente errate e che invece risulta inammissibile il ricorso in cui “con riferimento ad affezioni valutate sul piano medico-legale dal giudice di merito”, siano “effettuate critiche osservazioni su aspetti già presi in esame dal consulente tecnico officiato” nel giudizio di merito.

  • 3) le censure mosse alla perizia da parte ricorrente, lungi dal costituire un mero dissenso diagnostico o una diversa valutazione delle conclusioni del CTU, sono correttamente mirate a sollecitare un riscontro della correttezza del giudizio formulato dal consulente e, sulla base di ciò, evidenziano vizi logico – formali che si concretano in una palese devianza dalle nozioni della scienza medica o si sostanziano in affermazioni illogiche o scientificamente errate, oppure ancora in una omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi. Ricorrendo queste ipotesi, il giudice conferirà un nuovo incarico a un altro consulente tecnico, all’esito del quale emetterà una sentenza con cui riconoscerà o meno la sussistenza del requisito sanitario.
    • Vi è in altro caso, peculiare al processo previdenziale e previsto dall’art. 149 disp. att. c.p.c., in cui il giudice investito della controversia di merito può ordinare la rinnovazione dell’accertamento peritale. L’art. 149 disp. att. c.p.c. così recita: “Nelle controversie in materia di invalidità pensionabile deve essere valutato dal giudice anche l’aggravamento della malattia, nonché tutte le infermità comunque incidenti sul complesso invalidante che si siano verificate nel corso tanto del procedimento amministrativo che di quello giudiziario”.
    • La Suprema Corte (Ordinanza n. 18265 del 2020), sul punto, ha precisato che “la previsione di cui all’art. 149 disp. att. c.p.c., dettata in materia di invalidità pensionabile, che impone la valutazione in sede giudiziaria di tutte le infermità, pur sopravvenute nel corso del giudizio, si applica anche ai giudizi introdotti ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., la cui “ratio” di deflazione del contenzioso e di velocizzazione del processo, nei termini di ragionevolezza di cui alla Convenzione EDU, ben si armonizza con la funzione dell’art. 149 citato, sicché la sua mancata applicazione vanificherebbe la finalità della novella, creando disarmonie nella protezione dei diritti condizionate dai percorsi processuali prescelti (Cass.n.30860/2019)” e che “risulta in sostanza sussistente l’obbligo di accertare le infermità presenti sino al momento della pronuncia giudiziaria e ciò anche all’interno del procedimento dell’ATP che, pur articolato e strutturato in due fasi eventuali e successive, è comunque finalizzato ad accertare lo stato invalidante sino al momento della pronuncia giudiziale”.
    • E quindi, ove sussista un aggravamento della condizione sanitaria della parte adeguatamente documentato, il giudice potrà valutare la possibilità di ordinare un nuovo accertamento peritale ai sensi dell’art. 149 disp. att. c.p.c., e ciò a prescindere dalla fondatezza o meno, secondo i principi giurisprudenziali della Corte di Cassazione prima enunciati, dei motivi di contestazione della CTU illustrati in ricorso.

 

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