Il rapporto tra assegno sociale e assegno di mantenimento è sempre stato oggetto di intenso dibattito.
La sentenza della Corte di Appello di Catanzaro, sotto riportata integralmente, si pone nella scia delle recenti pronunce di merito e di legittimità che, nell’esaminare il problematico rapporto esistente fra il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento e la richiesta dell’assegno sociale, hanno univocamente accolto le ragioni del coniuge richiedente che, pur astrattamente titolare degli assegni di mantenimento, non li percepisce perché l’ex coniuge tenuto al pagamento si rende inadempiente.
Spesso l’INPS oppone un diniego alla richiesta di concessione dell’assegno sociale avanzata dal coniuge separato, perché, secondo l’Istituto, l’intervento pubblico a favore dei bisognosi ha carattere sussidiario, ossia può aver luogo solo nel caso in cui manchino obbligati al mantenimento e/o agli alimenti in grado di provvedervi. In altre parole – sostiene l’INPS – se uno dei due coniugi separati è in grado di provvedere al sostentamento dell’altro coniuge, è a lui che questi si deve rivolgere, prevedendo prima di tutto in sede di accordi di separazione l’obbligo di pagamento dell’assegno di mantenimento, e poi attivandosi concretamente, in caso di mancata corresponsione, per ottenere in via giudiziale il soddisfacimento del credito. Solo a seguito dell’esperimento di un’infruttuosa esecuzione coattiva sul patrimonio dell’ex coniuge inadempiente, l’INPS sarebbe tenuto a intervenire sussidiariamente in ragione del principio costituzionale di solidarietà sociale, concedendo al coniuge bisognoso l’assegno sociale.
Tale tesi è stata drasticamente rigettata dalla ormai concorde giurisprudenza di merito e di legittimità (ne parlo diffusamente in “Le novità giurisprudenziali sul requisito reddituale dell’assegno sociale: ai fini della concessione rilevano solo i redditi attuali ed effettivamente percepiti, e non quelli meramente potenziali, pur se concretamente possibili“).
La nota sentenza della Cassazione n. 24954/2021 ha statuito che “che il sistema di sicurezza sociale delineato dalla Costituzione non consente di ritenere in via generale che l’intervento pubblico a favore dei bisognosi abbia carattere sussidiario, ossia che possa aver luogo solo nel caso in cui manchino obbligati al mantenimento e/o agli alimenti in grado di provvedervi: basti ricordare che l’art. 3 Cost., comma 2, prefigura un generale impegno a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana; che l’art. 38, enuncia il diritto di ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere al mantenimento e all’assistenza sociale; che l’art. 32, nell’attribuire il diritto alla salute ad ogni individuo, assicura cure gratuite agli indigenti; che l’art. 34, prevede che il diritto allo studio debba essere assicurato in modo che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, possano raggiungere i più alti gradi dell’istruzione; che gli artt. 31 e 37, delineano forme ampie e generalizzate di protezione per la maternità, l’infanzia e la gioventù, di aiuto e sostegno alla famiglia, nell’adempimento dei suoi compiti, e di tutela e garanzia per la madre lavoratrice e l’adolescente lavoratore. Ciò val quanto dire che il rapporto tra prestazioni pubbliche di assistenza e obbligazioni familiari a contenuto latamente alimentare va costruito sempre in relazione alla speciale disciplina che istituisce e regola la prestazione che si considera, alla quale sola bisogna riferirsi per comprendere in che modo sulla sua corresponsione possa incidere la sussistenza di eventuali obbligati al mantenimento e/o agli alimenti: opinare il contrario equivarrebbe appunto a supporre che l’obbligo dello Stato di provvedere ai bisognosi sussiste solo in via sussidiaria, ciò che, escludendo in radice ogni possibilità di libera scelta tra le due forme di protezione, finirebbe per lasciare tali soggetti alla mercè delle vischiosità dei rapporti familiari, impedendo alla collettività di garantirne la personalità, l’autonomia e la stessa dignità, in spregio alla lettera e all’intonazione dei principi costituzionali dianzi ricordati”.
D’altronde, continua la Cassazione, la corresponsione effettiva dell’assegno sociale, seguendo la dizione letterale della legge, deve essere rigidamente parametrata ai “redditi effettivamente percepiti”, a nulla rilevando la mancata previsione dell’assegno di mantenimento in seno agli accordi di separazione o la mancata attivazione delle azioni coattive di riscossione da parte del coniuge insoddisfatto.
La sentenza della Corte di Appello di Catanzaro pone un importante tassello nel quadro dei principi delineati dalla Suprema Corte in materia di rapporto tra assegno sociale e assegno di mantenimento.
Scrive il giudice di appello che “la mancata percezione, da parte della ricorrente, del reddito incompatibile con il beneficio assistenziale di cui l’INPS pretende la restituzione rende applicabile l’insegnamento della Cassazione che, ai fini dell’accesso ai benefici assistenziali, dà rilievo alla condizione oggettiva dell’assenza di redditi o dell’insufficienza di quelli percepiti in misura inferiore al limite massimo stabilito dalla legge, senza che assuma rilevanza la mancata richiesta, da parte dell’assistito, dell’importo dovuto dall’ex coniuge a titolo di assegno divorzile, non essendo previsto che lo stato di bisogno, per essere normativamente rilevante, debba essere anche incolpevole”.
Ancor più se vi è prova negli atti di causa (come avvenuto nella vicenda scrutinata dalla Corte di secondo grado catanzarese) che i redditi dell’ex coniuge sono “di importo … tanto esiguo da rendere infruttuoso qualsiasi tentativo di esecuzione coattiva ai suoi danni”.















