L’articolo 6, comma 7, del decreto legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, in combinato disposto con l’articolo 1 della stessa legge 19 luglio 1993, n. 236, imponeva, nella sua originaria formulazione, il divieto di cumulo sia dei trattamenti di disoccupazione, sia dell’indennità di mobilità, con la pensione ordinaria di inabilità (art. 2 Legge n. 222/1984) e l’assegno ordinario di invalidità (art. 1 Legge n. 222/1984).
Successivamente alla sua emanazione, la norma fu integrata per effetto dell’art. 2 del decreto legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451, che introdusse un temperamento al divieto di cumulo, consentendo, ai soli lavoratori aventi diritto alla mobilità, di scegliere, all’atto di iscrizione nelle liste di mobilità, tra i trattamenti previdenziali di invalidità suddetti e quello di mobilità e stabilendo che, in caso di opzione a favore del trattamento di mobilità, l’erogazione dell’assegno o della pensione di invalidità restasse sospesa per tutto il periodo di fruizione del predetto trattamento.
Tale facoltà di opzione, invece, non fu ingiustificatamente estesa dalla legge ai lavoratori titolari dell’assegno di invalidità che avessero diritto al trattamento ordinario di disoccupazione. Questi ultimi, al momento del licenziamento, durante il periodo di disoccupazione potevano pertanto percepire il solo assegno parziale di invalidità.
A tale ingiustificata disparità di trattamento pose rimedio la Corte Costituzionale, la quale, con la sentenza 22/07/2011 n. 234, dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 7, del decreto legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, nonché dell’articolo 1 della stessa legge n. 236 del 1993, nella parte in cui dette norme non prevedevano, per i lavoratori beneficiari di assegno o pensione di invalidità, nel caso in cui si trovassero ad avere contemporaneamente diritto ai trattamenti di disoccupazione, il diritto di optare tra tali trattamenti e quelli di invalidità, limitatamente al periodo di disoccupazione indennizzato.
Ferma restando l’incumulabilità delle due prestazioni, tale decisione riconobbe pertanto all’assicurato il diritto di scegliere tra l’assegno ordinario di invalidità e l’indennità di disoccupazione limitatamente al periodo di disoccupazione indennizzato.
All’indomani della pubblicazione della sentenza, l’INPS provvide così a emanare la Circolare n. 138/2011, con la quale fornì alle strutture operative dell’Istituto le istruzioni necessarie per l’attuazione di quanto disposto dalla Corte Costituzionale.
“Per un corretto esercizio del diritto di opzione – dispose l’INPS – è condizione indefettibile che l’assicurato presenti alla competente struttura dell’Istituto domanda amministrativa, da cui risulti in modo non equivoco la propria volontà di scegliere l’indennità di disoccupazione in luogo dell’assegno ordinario di invalidità“.
“Nel caso in cui i lavoratori diventino titolari di assegno ordinario di invalidità successivamente alla presentazione della domanda di indennità di disoccupazione o durante il periodo di fruizione dell’indennità medesima – si legge ancora nel testo della circolare – gli stessi possono esercitare, con apposita richiesta scritta, la facoltà di opzione a favore dell’indennità di disoccupazione entro 60 giorni dalla data in cui è stato notificato il provvedimento di accoglimento della domanda di assegno ordinario di invalidità. Qualora essi non esercitino tale opzione o la esercitino in ritardo, l’importo dell’indennità di disoccupazione corrisposto diventa non dovuto e deve essere oggetto di compensazione/recupero sui pagamenti relativi all’assegno di invalidità”.
Un capitolo a sé stante della circolare è dedicato all’atto di rinuncia all’indennità dopo che si sia esercitato il diritto di opzione. “I lavoratori che abbiano esercitato la facoltà di opzione per l’indennità di disoccupazione, possono rinunciare all’indennità in qualsiasi momento ottenendo il ripristino del pagamento dell’assegno di invalidità. La rinuncia, che ha valore dalla data in cui viene effettuata, ha carattere definitivo e il lavoratore che l’ha esercitata non può più essere ammesso a percepire la parte residua di disoccupazione”.
È importante tenere in conto l’evenienza che la concomitanza fra le due prestazioni, che determina l’incumulabilità e la necessità di esercizio del diritto di opzione, possa verificarsi in periodi diversi e non contemporaneamente. Ciò succede quando l’assegno ordinario venga negato in sede amministrativa per carenza del requisito sanitario o di altro requisito costitutivo (es. il requisito contributivo) e l’assicurato sia costretto così ad avviare in sede giudiziale un ricorso di accertamento tecnico preventivo ex art. 445 bis c.p.c (nel caso di mancato riconoscimento del requisito sanitario) o un ricorso ordinario (negli altri casi di di diniego).
Un esempio può rendere agevole la comprensione. Un lavoratore ottiene il riconoscimento di una prestazione di disoccupazione dall’1/6/2020 fino al 31/12/2020 nella misura di 1.000 euro mensili. In data 1/8/2020 egli presenta domanda per ottenere l’assegno ordinario di invalidità, che gli viene però rigettata in sede amministrativa per carenza del requisito sanitario. Nel conseguente giudizio di A.T.P. ex art. 445 bis c.p.c., la valutazione negativa della Commissione sanitaria dell’INPS, deputata ad accertare nella procedura amministrativa la sussistenza del grado di invalidità richiesto dalla legge, viene ribaltata, e il lavoratore ottiene il riconoscimento della sussistenza del requisito sanitario a decorrere dalla data della domanda amministrativa (1/8/2020), con omologa del giudice emessa in data 31/3/2022. Come è facile desumere, in questo caso si viene a creare a posteriori, per il periodo 1/8/2020 – 31/12/2020, una sovrapposizione fra la indennità di disoccupazione (già totalmente e definitivamente percepita) e l’assegno ordinario (riconosciuto con decorrenza retroattiva), che rende necessario, a distanza di quasi due anni, l’esercizio del diritto di opzione. Se, ad esempio, in base alla contribuzione versata l’assegno ordinario dovesse essere commisurato in 800 euro mensili, l’assicurato dovrebbe tempestivamente manifestare la volontà di scegliere l’indennità di disoccupazione in luogo dell’assegno ordinario di invalidità, onde evitare il recupero dell’indebito. Qualora egli non esercitasse tale opzione o la esercitasse in ritardo, infatti, è vero che per il periodo 1/8/2020-31/12/2020 egli otterrebbe il pagamento dell’arretrato dell’assegno ordinario per 800 mensili, ma dovrebbe contemporaneamente restituire quanto percepito nello stesso periodo a titolo di indennità di disoccupazione, e per un importo maggiore (1.000 euro mensili), poiché, data l’incumulabilità fra le due prestazioni, l’indennità di disoccupazione corrisposta a suo tempo verrebbe considerata non dovuta, diventando così oggetto di compensazione/recupero sui pagamenti relativi all’assegno di invalidità.
