Molto spesso noi operatori del diritto, nelle controversie di natura previdenziale e assistenziale, ci troviamo a dover fare i conti con le norme dettate in tema di decadenza dall’azione giudiziaria.
Uno dei dilemmi più frequenti riguarda l’applicabilità dei termini decadenziali alle cause relative agli indebiti: nel caso in cui l’Istituto previdenziale richieda al beneficiario la ripetizione di somme asseritamente non dovute, trovano applicazione i termini di decadenza (semestrale, annuale o triennale, a seconda del tipo di prestazione erogata da cui è scaturito l’indebito) alle eventuali controversie giudiziarie susseguenti?
La giurisprudenza, al quesito, ha dato una risposta nettamente negativa.
In tema di ripetizione d’indebito sorto a seguito della revoca di una prestazione assistenziale di invalidità civile, la Cassazione, con la sentenza del 25 novembre 2020, n. 26845, ha avuto modo di precisare che non appare condivisibile l’ulteriore affermazione del ricorso [proposto dall’INPS] secondo cui “il provvedimento con cui alla parte odierna controricorrente è stato notificato l’indebito formatosi a seguito della revoca della prestazione assistenziale sarebbe esso stesso assoggettato al medesimo termine d’impugnazione a pena di decadenza: indipendentemente dalla possibilità di qualificare in termini stricto sensu provvedimentale un atto del genere, la decadenza di cui all’art. 42, d.l. n. 269/2003, cit., riguarda infatti i «provvedimenti emanati in esito alle procedure in materia di riconoscimento di benefici», e dunque testualmente i provvedimenti con cui tali benefici vengono denegati o revocati, e non può viceversa estendersi all’atto con cui, a seguito della revoca di un beneficio assistenziale, venga comunicata all’assistito la formazione di un qualche indebito, dal momento che l’eventuale indebito costituisce propriamente una conseguenza diversa e ulteriore rispetto alla revoca del beneficio, che trova disciplina autonoma nel diverso e apposito sottosistema normativo che sovraintende alla sua ripetizione in materia assistenziale, siccome tratteggiato da plurime decisioni di questa Corte (cfr., tra le più recenti, Cass. nn. 1919 del 2018, 10642, 26036 e 31372 del 2019, 13223 del 2020). Ed è appena il caso di soggiungere che non si potrebbe concludere diversamente senza implicitamente dare dell’art. 42, comma 3, d.l. n. 269/2003, cit., un’interpretazione analogica che appare prima facie contrastante con il disposto dell’art. 14 prel. c.c.: secondo un insegnamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, le disposizioni con le quali il legislatore sancisce una decadenza sono infatti di stretta interpretazione e la relativa fattispecie legale può dirsi realizzata in via di principio solo in presenza di una fattispecie concreta ad essa perfettamente corrispondente (così, in termini, Cass. n. 1245 del 1980; più di recente, nello stesso senso, v. Cass. nn. 20611 e 32154 del 2018)”.
Due sono pertanto le ragioni poste dalla Cassazione a sostegno della decisione di reiezione del motivo di impugnazione proposto dall’INPS:
- Gli indebiti costituiscono propriamente una conseguenza diversa e ulteriore rispetto alla revoca dei benefici, che trovano disciplina autonoma nel diverso e apposito sottosistema normativo che sovraintende alla sua ripetizione in materia assistenziale, tant’è che, in tema, la precedente Cass. n. 1919 del 2018 ha enucleato l’esistenza nell’ordinamento di un vero e proprio settore che riguarda la materia degli indebiti e che implica, di volta in volta, l’applicabilità di una serie di sottoregole specificate in rapporto alle varie ipotesi di prestazioni.
- L’applicazione delle norme di decadenza previste dalla legge (per un esame dettagliato, si veda https://cataldobevacqua.it/i-tre-termini-di-decadenza-dallazione-in-materia-previdenziale/) anche alle cause di ripetizione d’indebito, comporterebbe un’interpretazione analogica contrastante con il principio secondo cui le norme dettate in materia di decadenza sono di stretta interpretazione.
A identica conclusione conduce l’esame delle norme decadenziali previste dall’art. 47 del DPR 30 aprile 1970 n. 639.
Recita infatti la suddetta disposizione:
- Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici l’azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi dell’Istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della predetta decisione, ovvero dalla data di scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione.
- Per le controversie in materia di prestazioni della gestione di cui all’articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, l’azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di un anno dalle date di cui al precedente comma.
Come si evince chiaramente dalla dizione letterale, tali termini di decadenza si applicano a decorrere dalla data di presentazione della richiesta della prestazione pensionistica o di uno dei trattamenti rientranti nella gestione di cui all’art. 24 L. 1989, n. 88, e pertanto, se è palese la loro operatività con riguardo alle cause inerenti ai provvedimenti di rigetto della domanda di riconoscimento delle suddette prestazioni, non ne è possibile al contrario l’applicazione alle controversie riguardanti la ripetizione degli indebiti sottostanti, salvo incorrere nel divieto di interpretazione analogica stabilito in tema di decadenza.
