ATP previdenziale: i rimedi esperibili avverso le pronunce di inammissibilità della domanda

In base all’indirizzo interpretativo impresso dalla sentenza n. 6085/2014 della Corte di Cassazione – Sez. Lavoro, tutte le questioni (anche preliminari) che esulino dall’accertamento del requisito sanitario non possono essere esaminate nel procedimento di accertamento tecnico preventivo di cui all’art. 445 bis c.p.c., in quanto “il giudice adito con la istanza per ATP null’altro è legittimato a fare se non a procedere alla consulenza e gli è inibito di operare preliminarmente verifiche di sorta sugli altri requisiti, giacché il legislatore pone l’ATP come fase preliminare in cui passare “necessariamente”, quali che siano gli ostacoli che, nelle singole fattispecie, precluderebbero comunque il diritto alla prestazione richiesta.”

Successivamente, ove in sede giudiziale il requisito sanitario sia stato riconosciuto attraverso il provvedimento di omologa, l’INPS ha l’obbligo di ripristinare la prestazione nel termine di 120 giorni, previa verifica, in sede amministrativa, di tutti i requisiti non sanitari prescritti dalla legge. E nel caso in cui l’ente di previdenza non provveda alla liquidazione della prestazione, la parte istante sarà tenuta a proporre un nuovo giudizio (da introdurre con normale ricorso e non con ATP), che è a cognizione piena, ancorché limitato (essendo ormai intangibile l’accertamento sanitario) appunto alla verifica della esistenza di tutti i requisiti non sanitari prescritti dalla legge per il diritto alla prestazione richiesta. Detta in altri termini, in definitiva, qualsiasi controversia relativa a questioni che non riguardino l’aspetto eminentemente sanitario non può trovare ingresso nel giudizio ex art. 445 bis c.p.c., deputato esclusivamente all’accertamento delle condizioni sanitarie, e dovranno essere esaminate nell’ambito del giudizio ordinario a cognizione piena.

Vi è però un altro orientamento interpretativo, delineato dalle sentenze della Cassazione n. 8533/2015 e n. 5338/2014 (entrambe richiamate da Cass. n. 9755/2019) in base al quale il giudice adito col procedimento di ATP ex art. 445 bis c.p.c. ha il potere di accertare sommariamente, nella verifica dei presupposti processuali, oltre alla propria competenza, anche la ricorrenza di una delle ipotesi per le quali è previsto il ricorso alla procedura prevista dall’art. 445 bis, nonché la presentazione della domanda amministrativa, l’eventuale presentazione del ricorso amministrativo, la tempestività del ricorso giudiziario; quanto al profilo dell’interesse ad agire, secondo tale indirizzo, al giudice non è inibito neppure operare la previa valutazione dell’utilità dell’accertamento medico richiesto al fine del riconoscimento del diritto soggettivo sostanziale di cui l’istante si affermi titolare, utilità che potrebbe difettare ove appaiano manifestamente carenti, con valutazione prima facie, altri presupposti della prestazione previdenziale o assistenziale in vista della quale il ricorrente domanda l’accertamento tecnico.

Qual è il rimedio esperibile nel caso in cui il giudice adotti un preliminare provvedimento che, chiudendo anticipatamente il giudizio di ATP, inibisca al ricorrente l’accesso all’accertamento del requisito sanitario invalidante?

Sappiamo che la procedura per A.T.P.O. si conclude normalmente con un provvedimento di omologa, oppure con una sentenza inappellabile emessa all’esito dell’introduzione del giudizio di merito nel caso in cui le conclusioni del CTU siano contestate. Tale giudizio di merito, che – ripetesi – segue al dissenso opposto avverso la consulenza tecnica depositata, ha solitamente come oggetto le censure di carattere tecnico-medico inerenti alla disamina svolta dal consulente sul quesito di sussistenza del requisito sanitario, pur se, secondo un orientamento interpretativo ormai ben consolidatosi, “la dichiarazione di dissenso che la parte deve formulare al fine di evitare l’emissione del decreto di omologa – ai sensi dei commi 4 e 5 [dell’art. 445 bis c.p.c.] – può avere ad oggetto sia le conclusioni cui è pervenuto il c.t.u., sia gli aspetti preliminari che sono stati oggetto della verifica giudiziale e ritenuti non preclusivi dell’ulteriore corso, relativi ai presupposti processuali ed alle condizioni dell’azione (v. ex multis Cass. 2 agosto 2019, n. 20847; Cass. 9 aprile 2019, n. 9876; Cass. 5 febbraio 2020, n. 2587; Cass. 3 marzo 2021, n. 5719) (Corte di Cassazione – Sezioni Unite Civili – sentenza del 13 maggio 2021 – n. 12903). Ora, è evidente che nel caso in cui gli aspetti preliminari non siano stati ritenuti preclusivi, il procedimento seguirà il suo normale corso e, all’esito del deposito della CTU, il giudice dell’ATP concederà come per legge il termine per muovere le contestazioni e introdurre il successivo giudizio di merito, dando modo al resistente di impugnare la decisione su tali questioni e devolverla in seconda istanza al giudice del dissenso. Ma se, al contrario, il giudice dell’ATP abbia ritenuto preclusiva alcuna delle eccezioni preliminari sollevate e abbia pertanto emesso una pronuncia di inammissibilità, tale provvedimento definitorio non potrà ovviamente essere impugnato in sede di giudizio di dissenso perché a monte verrà a mancare la concessione del termine di 30 giorni (previsto dall’art. 445 bis c.p.c.) per operare le contestazioni e avviare la procedura di introduzione del giudizio di merito.

Per consolidata giurisprudenza, inoltre, non è possibile impugnare la pronuncia sulle questioni preliminari con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost.

Quid iuris, allora, sui rimedi impugnatori offerti dall’ordinamento avverso tali provvedimenti?

La risposta al quesito è offerta dalla lettura dell’art. 445 bis c.p.c., per come correttamente interpretato dalla Cassazione proprio nella sopra citata sentenza 07-03-2014, n. 5338.

La Corte era stata adita con ricorso straordinario ex art. 111 della Costituzione per decidere sulla legittimità dell’ordinanza del giudice di primo grado che aveva ritenuto inammissibile il ricorso di ATP a causa del mancato rispetto del termine decadenziale di sei mesi imposto dalla legge.

Gli Ermellini, nel dichiarare inammissibile il ricorso straordinario per Cassazione proposto, indicano in motivazione la strada che il ricorrente avrebbe dovuto seguire per opporsi alla pronuncia di decadenza semestrale emessa dal Tribunale di merito.

A mente del secondo comma del citato art. 445 bis – afferma la Cassazione –“L’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo costituisce condizione di procedibilità della domanda di cui al comma 1. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che l’accertamento tecnico preventivo non è stato espletato ovvero che è iniziato ma non si è concluso, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dell’istanza di accertamento tecnico ovvero di completamento dello stesso”. Sulla base della lettura del dato normativo, “pertanto – argomenta la Suprema Corte – l’omesso espletamento dell’accertamento tecnico preventivo (quale che sia la causa che lo ha determinato), pur costituendo condizione di improcedibilità della domanda (ove tempestivamente eccepita o rilevata d’ufficio), non preclude la decisione nel merito, stante l’espressa previsione della concessione di un termine per la presentazione della relativa istanza. Ne discende che al provvedimento impugnato che, nella sostanza, ha reputato precluso l’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo (stante la ritenuta decadenza per la proposizione della domanda giudiziale) non può essere riconosciuta incidenza con efficacia di giudicato su situazioni soggettive di natura sostanziale, posto che la parte interessata potrà promuovere il ricorso nel merito, richiedendo che il Giudice adito, ritenuta l’inapplicabilità al caso di specie della normativa che ha introdotto il termine semestrale di decadenza, assegni termine per la presentazione dell’istanza di accertamento tecnico. Al contempo, qualora il Giudice del merito, condividendo la valutazione di intervenuta decadenza, non dia corso a tale incombente e dichiari l’inammissibilità della domanda, la relativa pronuncia sarà censurabile con gli ordinari mezzi di impugnazione”.

Riassumendo:

Le pronunce che dichiarino, in via preliminare, inammissibile il ricorso di ATP previdenziale, sono prive di efficacia di giudicato in quanto vertenti su situazioni soggettive di natura sostanziale (al contrario di quel che avviene per i provvedimenti [omologhe e, in caso di dissenso, sentenze], inerenti alle conclusioni del CTU sul requisito sanitario). Non è pertanto precluso dall’ordinamento l’ordinario giudizio di cognizione sul diritto vantato.

Una volta che il giudice adito abbia emesso una pronuncia di inammissibilità, l’istante potrà pertanto proporre ricorso ordinario al Tribunale, nel quale censurerà il provvedimento adottato. In caso di accoglimento dell’opposizione, il giudice, stante la norma che impone, ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., che la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti il diritto fatto valere si svolga esclusivamente nell’ambito del giudizio di ATP, assegnerà termine per la presentazione dell’istanza di accertamento tecnico. In caso contrario, ove il giudice del merito condivida la valutazione espressa prima facie dal giudice dell’ATP, il ricorrente potrà impugnare la pronuncia di inammissibilità resa nel giudizio ordinario, azionando gli ordinari mezzi di impugnazione.


RICHIEDI UNA CONSULENZA LEGALE AI SEGUENTI RECAPITI: