Sta facendo molto discutere il recentissimo messaggio INPS n. 3495 del 14/10/2021 inerente al requisito dell’inattività lavorativa in materia di assegno mensile di assistenza ex art. 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118.
“La Corte di Cassazione – comunica l’INPS – con diverse pronunce, è intervenuta sul requisito dell’inattività lavorativa di cui all’articolo 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118, come modificato dall’articolo 1, comma 35, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, affermando che il mancato svolgimento dell’attività lavorativa integra non già una mera condizione di erogabilità della prestazione ma, al pari del requisito sanitario, un elemento costitutivo del diritto alla prestazione assistenziale, la mancanza del quale è deducibile o rilevabile d’ufficio in qualsiasi stato e grado del giudizio”.
“La giurisprudenza di legittimità – continua l’Istituto – quindi, è costante nel ritenere che lo svolgimento dell’attività lavorativa, a prescindere dalla misura del reddito ricavato, preclude il diritto al beneficio di cui all’articolo 13 della legge n. 118/1971 (cfr. Cass. n. 17388/2018; n. 18926/2019)”.
“Alla luce di tale consolidato orientamento – conclude l’Ente di previdenza – a fare data dalla pubblicazione del presente messaggio, l’assegno mensile di assistenza di cui all’articolo 13 della legge n. 118/1971, sarà pertanto liquidato, fermi restando tutti i requisiti previsti dalla legge, solo nel caso in cui risulti l’inattività lavorativa del soggetto beneficiario”.
È necessario fare alcune considerazioni.
Prima di tutto, i messaggi emanati dall’INPS costituiscono mere comunicazioni e istruzioni interne dell’Istituto, che, ancor meno delle circolari, possono assurgere al rango di fonti normative.
Entrando nel merito della questione, occorre preliminarmente partire dal dato normativo, costituito dall’art. 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118, per come sostituito dall’art. 1, comma 35 della legge 24 dicembre 2007, n. 247.
“Agli invalidi civili di età compresa fra il diciottesimo e il sessantaquattresimo anno – recita la legge – nei cui confronti sia accertata una riduzione della capacità lavorativa, nella misura pari o superiore al 74 per cento, che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste, è concesso, a carico dello Stato ed erogato dall’INPS, un assegno mensile di euro 242,84 per tredici mensilità, con le stesse condizioni e modalità previste per l’assegnazione della pensione di cui all’articolo 12″.
La norma circoscrive la platea dei beneficiari della prestazione assistenziale, riferendosi a coloro che “non svolgono attività lavorativa”.
Operando un excursus storico sulla giurisprudenza della Cassazione, non può non notarsi che la Suprema Corte ha sempre identificato il mancato svolgimento di attività lavorativa previsto dalla norma con la locuzione “stato di inoccupazione”, specificando immediatamente dopo che la condizione di inoccupazione, ai fini voluti dalla norma, riguarda gli “invalidi che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste” (si veda, per tutte, Cassazione Civile, Ordinanza n. 8856 del 2017).
Nell’ordinamento esistono varie norme che fanno riferimento alla condizione di “disoccupazione”, Inoccupazione, “non occupazione”.
Il D.Lgs. 21 aprile 2000, n. 181, all’art. 4, stabilisce che conserva lo “stato di disoccupazione” anche chi svolge un’attività lavorativa tale da assicurare un reddito annuale non superiore al reddito minimo personale escluso da imposizione, con una disciplina prima abolita dalla Legge Fornero e poi reintrodotta dal D.L. Lavoro (D.L. n. 76/2013).
Lo stesso D.Lgs. 21 aprile 2000, n. 181, all’art. 1, identifica gli “inoccupati di lunga durata” come coloro che, senza aver precedentemente svolto un’attività lavorativa, siano alla ricerca di un’occupazione da più di dodici mesi o da più di sei mesi se giovani.
L’articolo 19, comma 7, del decreto legislativo n. 150/2015 così dispone: “Allo scopo di evitare l’ingiustificata registrazione come disoccupato da parte di soggetti non disponibili allo svolgimento dell’attività lavorativa, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto le norme nazionali o regionali ed i regolamenti comunali che condizionano prestazioni di carattere sociale allo stato di disoccupazione si intendono riferite alla condizione di non occupazione”.
Con la finalità di precisare la nozione di “non occupazione” dettata da tale norma, la Circolare n. 34 del 2015 del Ministero del Lavoro richiama, in via analogica, le disposizioni degli articoli 9 e 10 del decreto legislativo n. 22/2015, che prevedono la conservazione della prestazione di nuova assicurazione sociale per l’impiego anche nei casi in cui il beneficiario svolga un’attività lavorativa da cui derivi un reddito annuo inferiore al reddito minimo escluso da imposizione.
“Analogamente, pertanto, – si legge nella Circolare – la condizione di non occupazione fa riferimento alle persone che non svolgono attività lavorativa, in forma subordinata, parasubordinata o autonoma ovvero a coloro che, pur svolgendo una tale attività, ne ricavino un reddito annuo inferiore al reddito minimo escluso da imposizione. Tale
limite è pari, per le attività di lavoro subordinato o parasubordinato, ad euro 8.000, e per quelle di lavoro autonomo ad euro 4.800″.
Come è ben chiaro, pertanto, la condizione di “disoccupazione” in base al D.Lgs. 21 aprile 2000, n. 181 (con disposizione reintrodotta dal D.L. n. 76/2013) e la condizione di “non occupazione” ex art. 19, comma 7, del decreto legislativo n. 150/2015, sono riferite a coloro:
a) che non svolgono attività lavorativa;
b) che, pur svolgendo una tale attività ne ricavino un reddito annuo inferiore al reddito minimo escluso da imposizione (limite pari, per le attività di lavoro subordinato o parasubordinato, ad euro 8.000, e per quelle di lavoro autonomo ad euro 4.800).
E sulla stessa scia tracciata in primis dal D.Lgs. n. 181/2000 (e poi, successivamente, dal D.Lgs. n. 150/2015) si pone l’indirizzo operativo dell’INPS adottato all’indomani della Legge n. 247/2007 di modifica della disciplina dell’assegno mensile di assistenza, e contenuto nel messaggio n. 3043 del 06-02-2008: “Il requisito del mancato svolgimento di attività lavorativa – scrive l’Istituto – sussiste anche … quando è verificato lo stato di disoccupazione in quanto lo svolgimento di attività lavorativa assicura un reddito annuale non superiore al reddito minimo personale escluso da imposizione (vedi T.U. in materia di imposte dirette e relativi aggiornamenti)”.
Appare pertanto evidente che a fianco della nozione di “inoccupazione” delineata dalla giurisprudenza della Cassazione proprio per descrivere la condizione di inattività lavorativa che costituisce elemento costitutivo del diritto alla percezione dell’assegno mensile di assistenza ex art. L. 118/1971, esistono anche le nozioni di “disoccupazione” e “non occupazione”, all’interno delle quali si collocano, oltre a coloro che non svolgono attività lavorativa, anche coloro che ricavino da una residua attività lavorativa un reddito minimo escluso da imposizione fiscale.
E a tali ultime definizioni l’INPS ha dato finora mostra di aderire nell’interpretare estensivamente l’art. 13 della legge 118/1971 sull’assegno mensile di assistenza, come è reso palese dal succitato messaggio n. 3043 del 2008.
Cosa è cambiato?
Non si mette in dubbio che il “mancato svolgimento di attività lavorativa” e la “non occupazione” siano nozioni concettualmente diverse.
Ai fini previsti dagli articoli 9 e 10 del decreto legislativo n. 22/2015, esse stanno in un rapporto di continenza, nel senso che la “la non occupazione” comprende anche la condizione di inattività lavorativa.
Come detto, finora l’INPS ha inteso aderire all’interpretazione più estensiva della dizione legislativa, comprendendo nella categoria dei beneficiari anche i lavoratori che percepissero redditi inferiori al minimo imponibile.
Nel recentissimo messaggio n. 3495 oggetto di discussione, l’INPS, invertendo la rotta, dispone invece che “a fare data dalla pubblicazione del presente messaggio, l’assegno mensile di assistenza di cui all’articolo 13 della legge n. 118/1971, sarà pertanto liquidato, fermi restando tutti i requisiti previsti dalla legge, solo nel caso in cui risulti l’inattività lavorativa del soggetto beneficiario” poiché – continua l’Istituto – la giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che lo svolgimento dell’attività lavorativa, a prescindere dalla misura del reddito ricavato, preclude il diritto al beneficio di cui all’articolo 13 della legge n. 118/1971 (cfr. Cass. n. 17388/2018; n. 18926/2019)”.
A voler essere precisi, esaminando attentamente la citata sentenza n. 18926/2019, si ricava soltanto che l’art. 13 della legge n. 118/1971, per come modificata dall’art. 1, comma 35 della legge n. 247 del 2007, richiede la sussistenza dello stato di inoccupazione per la concessione del beneficio, e che la nuova disciplina ha comunque lasciato immutato l’onere del disabile di fornire la prova di non aver lavorato nel periodo interessato dalla domanda proposta.
In nessun punto della sentenza pare affermarsi, expressis verbis, il principio per cui lo svolgimento dell’attività lavorativa, a prescindere dal reddito ricavato, precluda il diritto alla prestazione.
Vi è, però, che in effetti la Suprema Corte ha sempre, senza oscillazioni, descritto e interpretato lo stato di inoccupazione come la condizione di chi, invalido, non svolga alcuna attività lavorativa, e sulla base di tale lineare insegnamento l’INPS ha oggi, con il messaggio sopra riportato, tracciato l’indirizzo a cui le strutture operative dell’Istituto devono adeguarsi nel riconoscimento della prestazione.
La questione merita certamente, a mio sommesso avviso, un immediato intervento riparatore da parte del legislatore (o, in alternativa, della Corte Costituzionale?), perché la norma penalizza in modo eccessivo i cittadini che rientrino nella fascia di disabilità compresa fra il 74% e il 99%.
Ancor più evidente appare la discriminazione, se si pensa che la prestazione assistenziale “gemella”, vale a dire la pensione di inabilità ex art. 12 L. 118/1971, concessa ai totalmente invalidi, è al contrario compatibile con lo svolgimento di attività lavorativa.
