Arretrati Inps: l’istituto deve computarli applicando il principio di competenza e non quello di cassa

Spesso l’INPS, quando liquida gli arretrati, invece di separare idealmente gli importi relativi a ciascun anno di competenza, imputa all’anno di pagamento la somma totale corrisposta, applicando il principio di cassa. Niente di più sbagliato, perché talvolta l’importo complessivo pagato a titolo di arretrato, e imputato all’anno di effettivo pagamento, va a influire sul requisito reddituale occorrente per la percezione di altra prestazione assistenziale o previdenziale, causando la perdita del diritto e la formazione di indebiti.

È ciò che è accaduto a un cittadino calabrese, il quale percepisce dall’INPS due trattamenti, una pensione assistenziale di invalidità civile e una prestazione previdenziale di assegno ordinario di invalidità.

La pensione di inabilità, prevista dagli artt. 2 – 12 L. 118/71,  è concessa per 13 mensilità con decorrenza dal primo giorno del mese successivo a quello della presentazione della domanda per l’accertamento dell’inabilità; per ottenerla, la legge prevede la concorrenza dei seguenti requisiti:  riconoscimento di una invalidità totale e permanente del 100%;  reddito personale inferiore ad un determinato importo  (Euro 16.532,10 per il 2015, Euro 16.532,10 per il 2016, Euro 16.532,10 per il 2017, Euro 16.664,36 per il 2018, Euro 16.814,34 per il 2019, Euro 16.982,49 per il 2020, Euro 16.982,49 per il 2021); età compresa fra i 18 e i 67 anni; essere cittadino italiano o cittadino UE residente in Italia, o essere cittadino extracomunitario in possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.

Per ottenere invece l’assegno ordinario di invalidità di cui all’art. 1 della legge n. 222/84, il richiedente deve possedere una permanente riduzione a meno di un terzo della capacità di lavoro in occupazioni confacenti alle attitudini personali, oltre a un requisito contributivo ed assicurativo (almeno 260 contributi settimanali, vale a dire, cinque anni di contribuzione e assicurazione, di cui 156, cioè tre anni di contribuzione e assicurazione, nel quinquennio precedente la data di presentazione della domanda originaria).

Le due prestazioni sono cumulabili, ove il titolare possieda un grado di invalidità civile pari al 100 %, come è, difatti, nel caso del pensionato calabrese.

Come si è originato l’indebito

L’INPS ha liquidato al richiedente gli arretrati sull’assegno ordinario d’invalidità per gli anni 2015, 2016 e 2017, imputandoli però tutti all’anno di effettivo pagamento, vale a dire il 2017, in applicazione del principio di cassa. La somma risultante, cumulata all’assegno ordinario di invalidità spettante per l’anno 2017, è andata però a oltrepassare il tetto reddituale previsto dalla legge per il diritto a percepire la pensione di inabilità (pari ad Euro 16.532,10 per il 2017), cosicché l’INPS, acquisito il dato reddituale nell’anno successivo, ha stabilito che per l’anno 2017 il pensionato aveva incassato somme indebite a titolo di pensione di inabilità.

L’errore in cui è incorso l’INPS

L’istituto nel caso specifico ha effettuato il calcolo degli arretrati sulla base del principio di cassa, computandoli nel loro importo complessivo, in ciò disattendendo l’indicazione giurisprudenziale tracciata dalla sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 12796/2005, secondo la quale “in ogni caso in cui l’erogazione dei benefici previdenziali o assistenziali sia rapportata ad un limite di reddito, per la determinazione di tale limite devono essere considerati anche gli arretrati … non nel loro importo complessivo, ma nelle quote maturate per ciascun anno di competenza”.

L’istituto, pertanto, avrebbe dovuto “spalmare” idealmente le somme nei tre anni di riferimento (2015 – 2016 – 2017), non cumularle tutte nel 2017. Considerando gli arretrati nel loro importo complessivo e imputandoli tutti al 2017, l’Inps ha invece determinato il superamento del tetto reddituale in detto anno per la percezione della pensione di inabilità e la conseguente perdita del relativo diritto da parte del beneficiario.

La sentenza del Tribunale di Cosenza

Il pensionato ha rappresentato le sue doglianze al Tribunale di Cosenza, il quale ha accolto il ricorso con la sentenza n. 762/2021, così motivata:
“Con la sentenza delle Sezioni Unite n. 12796/2005, richiamata in ricorso, la Suprema Corte, chiamata a dirimere un contrasto sulla specifica questione, ha affermato il principio secondo cui “in ogni caso in cui l’erogazione dei benefici previdenziali o assistenziali sia rapportata ad un limite di reddito, per la determinazione di tale limite devono essere considerati anche gli arretrati – purché non esclusi del tutto da specifiche norme di legge (ad es. l’art. 3, c. 6 della legge 8.8.1995, n. 335 relativa all’assegno sociale) – non nel loro importo complessivo, ma nelle quote maturate per ciascun anno di competenza” (parte motiva). Il principio è stato fatto proprio dallo stesso istituto (messaggio n. 3098 del 25.07.2017) nel quale si è disposto, proprio muovendo dalla citata pronuncia delle S.U., che “In relazione a quanto sopra ed acquisito il parere favorevole del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, l’Istituto dispone che, dalla pubblicazione del presente messaggio, nel computo dei redditi in tema di liquidazione delle prestazioni di invalidità civile gli arretrati siano calcolati non nel loro importo complessivo, ma sulla base dei ratei maturati in ciascun anno di competenza. Di conseguenza le sedi, al fine di dare applicazione alla suddetta disposizione, in fase di acquisizione dei redditi dovranno ripartire manualmente gli importi arretrati per anno di competenza”. Non essendo in contestazione che il superamento dei limiti reddituali per l’anno 2017 si sia determinato per avere l’INPS applicato sul trattamento di invalidità civile il principio di cassa e non il principio di competenza, la domanda va, allora, accolta, con conseguente declaratoria di insussistenza del diritto dell’INPS a procedere al recupero della somma richiesta”.

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